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La nostra storia

 

Secondo la tradizione, Roccasalli deriva il suo nome dalla famiglia dei Salli che ha costituito il nucleo fondante dell'abitato.

La storiografia che la riguarda è molto scarna, ma il paese ha avuto origine con ogni probabilità prima della metà del secolo X.

Intorno al 950, il longobardo Maginardo, figlio di Sigolfo, signore delle terre summatine, residente in Summata, il più grande dei villaggi del territorio, donò l'intera contrada al vescovo di Ascoli.

Nel 1037 l'imperatore Corrado II confermò la donazione a Bernardo I vescovo di Ascoli, facendo riferimento, tra le altre località, a Salle.

Nel 1052 papa Leone IX promulgò una bolla ribadendo la giurisdizione di Bernardo II, vescovo di Ascoli sul territorio cui apparteneva Salli .

Fu in seguito fortificata divenendo Rocha Sallis, che con Rocha Sancti Laurentii et Flaviani, Rocha Sanctae Mariae e Rocha Sancti Pauli era una delle quattro rocche che si contendevano il controllo della contrada.

Le quattro rocche tiranneggiarono gli abitanti della zona e fonti non certe, riferiscono di una ribellione delle popolazioni avverso gli oppressori, con destituzione dei tiranni e passaggio della zona sotto il regno.

Sta di fatto che secondo il Catalogus baronum (1149-1156), intorno al 1155, il territorio fu effettivamente annesso al regno di Sicilia e spartito tra più feudatari: il feudo di Sallum fu assegnato a Gusperto di Suppone, vassallo di Rainaldo di Lavareta (Barete), mentre comparve un riferimento a Cervilla (Cervelli, circa a metà tra Roccasalli e Collespada) , assegnata, insieme a Colle Spada, a Berardo Sinibaldo dei Camponeschi.

Causa la decadenza di Summata ed in considerazione della sua posizione difficilmente difendibile, con l'intervento dell'imperatore Ottone IV, nel 1211, si procedette alla costruzione e fortificazione di Oppidum, divenuta successivamente Acumulum, Acumulo, Acumuli (Accumoli) cui fu assoggettata tutta la contrada.

Negli anni successivi la giurisdizione sul territorio mutò ripetutamente per effetto di donazioni ed alienazioni considerate più o meno debite.

Nel 1255 si parla di Rocche de Sallo in un trattato tra il legato pontificio ed il duca di Spoleto, con il quale trattato la città di Norcia restituiva al legato totam terram summatinam.

Si registra anche una ribellione del castello di Roccasalli nei confronti dell'autorità di Accumoli, ma, con l'intervento di genti ascolane, dopo una forte resistenza, la ribellione fu domata: Roccasalli fu quindi governata dagli ascolani in nome di Accumoli.

Nel 1267 Podium de Sallo compare in una donazione a Farfa. Tornata sotto Accumoli, minacciò di unirsi ad Amatrice, desistendo poi dall'intento.

Nei secoli successivi seguì il destino di Accumoli, facendo però registrare un progressivo declino, sia per le conseguenze di scaramucce con i centri viciniori, segnatamente Norcia e Pescia per il controllo del territorio demaniale, sia per gli accadimenti militari che interessarono Accumoli.

Nel 1527 fu attaccata da una milizia di 8.000 uomini al comando di Orazio Baglione, proveniente dall'Umbria che bruciò buona parte della villa Rocca de' Salli per dirigersi poi all'assalto di Accumoli.

Avendo subito anche gli effetti devastanti di forti terremoti (in particolare quelli del 1632, 1639, 1703, 1730), il suo patrimonio architettonico risultò praticamente azzerato.

Il suo depauperamento fu tale che, non potendo più sopportare i pesi imposti da Accumoli, per sovrano decreto fu autorizzata a pagare al magistrato di Accumoli soli 18 scudi all'anno.

 

La Roccasalli attuale si può fare risalire probabilmente a cavallo tra la fine del secolo XVII e l'inizio del secolo XVIII. La tradizione popolare narra dell'antica presenza di 7 chiese, a testimonianza dell'importanza del centro. E' verosimile pensare che si trattasse di chiese al servizio di piccoli centri abitati, satelliti del centro principale.

Si parla delle chiese di San Nicola, ubicata all'altezza della piazza che oggi porta lo stesso nome, di San Giovenale, in località Pilone, ora piazza Santa Maria, di Sant'Angelo, subito a nord-ovest del paese sull'omonimo rilievo, di San Leonardo in montagna, forse un eremo.

Altre chiese potevano essere presenti presso la citata Cervilla (Santo Sisto) e presso la località Caserine. Attualmente l'unica chiesa superstite è quella dedicata a San Giovenale, patrono di Roccasalli e già vescovo di Narni, eretta forse nel XII secolo, munita di una torre campanaria con 4 campane, elemento, questo ultimo, unico nel panorama delle torri campanarie delle chiese dei paesi limitrofi e di tutti gli altri centri del comune.

 

Da ricordare la presenza, in cima al Rotolone, dei resti di un'antica rocca, residuo della Rocca dei Salli, di cui si apprezza ormai solo qualche spezzone delle mura perimetrali.

 

Anteriormente al 1927, anno di costituzione della provincia di Rieti, è rimasta nel territorio chiamato Abruzzo Ulteriore, sotto la provincia de L'Aquila, venendo da tale data a far parte della regione Lazio.

 

In occasione del secondo conflitto mondiale è stata bersaglio di un paio di attacchi aerei con lo sganciamento di due bombe, infrantesi a poche decine di metri dall'abitato, in località Strittu de la valle, con l'obiettivo, forse, di colpire i numerosi rifugiati che trovavano ricovero nel paese.

Il primo attacco si è verificato intorno alla mezzanotte del 27 maggio del 1944, il fragore dell'espolsione fu assordante e spaventoso, avendo frantumato diverse vetrate, tra cui quelle della chiesa. La popolazione, spaventata, trascorse insonne la nottata, anche per l'allarme destato dal continuo passaggio di altri apparecchi che ronzavano sopra il paese. Il secondo attacco si è registrato pochi giorni dopo, con la caduta dell'ordigno a poca distanza dal luogo di impatto del precedente.

 

Fino a poche decine di anni fa, Roccasalli è rimasta dotata di interessanti servizi certamente non diffusi in modo rilevante tra i centri vicini: un mulino ad acqua, sito presso la località La Mola, al servizio del circondario con la presenza stabile di un molitore (mulinaru); due macellerie; due rivendite di generi diversi; la bottega di un fabbro ferraio; la sede parrocchiale, con giurisdizione anche sulla chiesa di Santa Maria delle Grazie di Colleposta, con assegnatario un parroco residente presso la locale canonica; la scuola elementare, frequentata anche dagli alunni di Colleposta e, per un periodo dopo l'ultima guerra, una scuola serale, frequentata in modo significativo da quasi tutti gli uomini, al termine delle faticose giornate di lavoro nei boschi o nelle campagne.

Il numero di abitanti, forse di 800 unità stando ad alcuni dati relativi al 1775, è oggi ridotto ai minimi termini.

 

(Notizie storiche tratte da “Memorie Storiche di Accumoli”, di Agostino Cappello e da “Il canto della serena” di Vincenzo di Flavio)

 

 

 

Il fenomeno dei briganti nell'alto Lazio

 

 

I BRIGANTI NELL'ALTO LAZIO A RIDOSSO DEL PERIODO UNITARIO

 

Nel periodo post unificazione dell'Italia, su vasta parte del territorio centro-meridionale, si diffuse il fenomeno del brigantaggio. Vediamo di individuare le motivazioni sociali, sanitarie e politiche che costituirono la base di un fenomeno ancora oggi non definitivamente chiarito.

Il regno delle due Sicilie non si era contraddistinto per la liberalità e la floridezza economica, ma certamente aveva instaurato un regime fiscale mite e tollerante, misurato sulla capacità contributiva dell'economia agricola locale.

Anche nello Stato Pontificio esistevano degli equilibri che avevano evitato fino a quel momento il degenerare della situazione sociale.

Con l'annessione al regno d'Italia, si procedette a tutta una riorganizzazione del territorio, sia dal punto di vista del potere amministrativo, sia di quello giudiziario. Il nuovo governo, convinto di essere depositario dei principi di liberalità e di giustizia, in ciò sostenuto da tutta una storiografia ottocentesca, nel procedere a queste ristrutturazioni, perpetrò notevoli abusi e vessazioni in nome della campagna di liberazione del centro-sud dall'oscurantismo borbonico e pontificio.

Al fenomeno del brigantaggio, dal punto di vista documentale e, per utilizzare un termine oggi abusato, mediatico, è sempre stato riservato un trattamento di basso profilo, evitando quindi di sviscerarne le cause di base e sottraendo gli allora governanti da responsabilità che, a distanza di 130/140 anni, l'analisi dei documenti attesta in modo abbastanza evidente.

In realtà i nuovi poteri, nel tentativo di ridefinire il possesso del demanio comunale e le necessarie “quotizzazioni” che ne scaturivano, entrarono in rotta di collisione con i ricchi possidenti che controllavano grandi estensioni di territorio, riconoscendo ai comuni risibili compensi. Tutto ciò portò a tensioni, contrasti, prepotenze ed usurpazioni che, in particolare nell'agro reatino, si sommarono ad una situazione ambientale quanto meno poco salubre, tanto che la malaria sterminava ogni anno centinaia di contadini e braccianti, costituendo un male endemico delle campagne sabine dell'ottocento. Tale situazione complessiva determinò un continuo movimento migratorio tra la montagna e la pianura, con diffusione quindi, come risvolto positivo, di varie pratiche agrarie e l'incrocio culturale tra varie popolazioni. Ma il problema della malaria, lungi dall'essere quanto meno evitato, assunse dimensioni molto significative soprattutto dopo l'unificazione, con l'inizio del massiccio disboscamento delle aree collinari e montane. Si soffrivano poi ancora gli esiti di alcune calamità registrate nel periodo preunitario, come l'epidemia di colera del 1837, che, debellata con sommo sforzo in molti anni, aveva determinato l'istituzione di un cordone sanitario lungo il confine tra Stato pontificio e regno di Napoli, per impedire l'ingresso nello Stato di braccianti affamati provenienti dall'Abruzzo e dal distretto di Cittaducale. Naturalmente questo comportò un squilibrio sociale con numerose persone bloccate nei movimenti migratori. Nel 1853 gli abitanti del circondario di Rieti ammontavano al numero di 73.683, distinti in 14.668 nuclei familiari, dei quali il 90% (12.876), fondava la propria esistenza sull'attività agricola. Situazione identica si registrava nel distretto di Cittaducale e nell'Aquilano. Dall'analisi della composizione sociale delle bande brigantesche operanti a ridosso del confine tra Stato e Regno tra il 1860 ed il 1867, si rileva: 54,2% braccianti, contadini e pastori; 10,5% contadini renitenti alla leva; 6,3% disertori dell'esercito papalino e di quello borbonico; il resto distribuito tra varie altre categorie. Risulta chiara l'incidenza costituita dal ceto più povero sul fenomeno. A partire dall'unità i fenomeni migratori lungo il confine comunque si accentuarono notevolmente, dimostrando la grave congiuntura pre e post unitaria. Il brigantaggio va quindi letto come un indicatore dello stato di enorme disagio in cui si dibatteva l'Italia centrale postunitaria, con il ceto contadino costretto dall'indigenza ad intraprendere azioni di lotta. Durante le azioni che portarono poi all'unità, si registrarono delle fratture tra i contadini ed il ceto medio, questo ultimo favorevole al processo di unificazione. In realtà moti di resistenza al processo di unificazione si erano registrati sia nello Stato pontificio che nel regno di Napoli, con il coinvolgimento del ceto rurale tutto. L'esercito sabaudo era impreparato ad affrontare una situazione instabile e inattesa, dovendo misurarsi con una forte resistenza popolare e mettendo in atto delle violente repressioni. In questa fase si registrarono delle controffensive contro i Sabaudi: la prima, guidata da Klitsche de la Grange , contava su circa 2.000 militari di linea più un migliaio di braccianti armati alla meglio; riuscì a sfondare le linee garibaldine riprendendo Avezzano il 19 ottobre 1860; la seconda, composta da soldati papalini, svizzeri e zuavi, affiancata dalla solita massa male armata dei braccianti, era condotta dal colonnello borbonico Francesco Saverio Luverà e nel 1861 riconquistò Tagliacozzo. Ma questa seconda armata si disperse subito dopo l'eccidio di Scurcola Marsicana perpetrato dai piemontesi. In questo contesto risultava chiaro come il movimento dei braccianti poteva mostrare una valenza “insurrezionale” fintanto che esisteva la possibilità di un fallimento dell'unificazione italiana. Quando in rapida successione caddero nelle mani dei sabaudi la piazzaforte di Gaeta (rifugio del re borbonico), le cittadelle di Messina e Civitella del Tronto, la possibilità di un fallimento dell'unificazione parve scomparire, per cui tutti gli oppositori furono costretti a ripiegare, fuggendo e cercando riparo alla macchia. E così continuarono, per quanto loro possibile, a combattere, ma furono definitivamente etichettati come briganti, lasciando difficoltà insormontabili per distinguere le azioni insurrezionali da quelle brigantesche vere e proprie..

Le bande più importanti che operarono sul territorio furono:

  • Banda di Pizzoli;
  • Banda di Cagnano Amiterno;
  • Banda di Borgo Velino;
  • Banda di Laculo e Canetra guidata da Lorenzo Pandolci e Pietro Agelini;
  • Banda di Antrodoco guidata da Domenico Natalucci, Pasquale Di Silvestro, Bernardo Di Biaggio, Angelo Di Biaggio, Giovanni Cenfi, Giuseppe Gregari, Carmine Bianchini, Giovanni Grassi e Giovanni De Angelis;
  • Banda di Borbona;
  • Banda di Vallemare;
  • Bande del Cicolano-Tornimparte-Lucoli
  • Briganti del Pontificio

 

Focalizziamo ora l'attenzione sui territori di Amatrice ed Accumoli.

 

 

AMATRICE

Giornale del Governo di Abruzzo Ulteriore Secondo

Anno 1860

Stato di popolazione 1859

Aquila 31 Dicembre 1860

Distretto di Cittaducale

Circondario di Amatrice (abitanti 1.091)

65 comuni centrali e riuniti o ville

con una popolazione complessiva di 8.514 abitanti

 

Il contadino, poi brigante alla macchia Sabatino Ciaralli, venne condannato in contumacia perché accusato dalla Gran Corte Criminale di “Discorsi e fatti pubblici tendenti a spargere il malcontento contro il Governo, avvenuti a Villa Prata, Circondario di Amatrice il 29 ottobre 1860” .

 

Nicola Leopardi, sindaco di Amatrice e capitano della Guardia Nazionale, si distinse, invece, per operosità e coraggio nel perseguire il brigantaggio in ogni occasione (rapporto del comando delle truppe al confine pontificio).

I militi Germano Mari, Domenico Rubei ed Emidio Santarelli, furono anche essi elogiati per il coraggio dimostrato durante il brigantaggio. In particolare il luogotenente Rubei, il giorno 8 luglio 1861, alla testa di un drappello, sostenne un violento scontro a fuoco con una banda brigantesca, appoggiando le operazioni militari della truppa piemontese. Vennero infine proposti per la menzione onorevole , le guardie nazionali: Leopardi, Mari e Rubei, mentre al coraggioso milite Emidio Santarelli, fu assegnato dalla commissione provinciale un premio pecuniario.

 

ACCUMOLI

Giornale del Governo di Abruzzo Ulteriore Secondo

Anno 1860

Stato di popolazione 1859

Aquila 31 Dicembre 1860

Distretto di Cittaducale

Circondario di Accumoli (abitanti 670)

18 comuni centrali e riuniti o ville

con una popolazione complessiva di 2.761 abitanti

 

Il reazionario Raffaele Marini (sarto), simpatizzante dei Borboni, venne arrestato dalla Guardia Nazionale di Accumoli nell'agosto del 1860, con l'accusa di: Discorsi tendenti ad eccitare la ribellione contro il legittimo Governo”.

 

I sacerdoti don Pietro Casini, parroco di Poggio Casoli, don Sante De Santis, parroco di Collespada, don Marcello Cervelli, parroco di Roccasalli, furono arrestati dalla Guardia Nazionale di Accumoli con l'accusa di: Fatti e discorsi tendenti ad eccitare la popolazione contro l'attuale Governo e contro i cittadini che lo sostengono, nonché voci allarmanti contro lo stesso governo, avvenuto nel comune di Accumoli nell'ottobre del 1860” .

Luigi Organtini (proprietario di Accumoli), fu arrestato come reazionario contrario all'unificazione ed accusato di: “Attentato per cambiare l'attuale Governo ed eccitare la guerra civile tra i cittadini e sparlare della forma di Governo. Ingiurie gravi in persona di Pubblica Sicurezza, il 23 Febbraio 1861” .

Vincenzo Valentini, contadino di Accumoli, Emidio Valeri, garzone di Collemoresco, Evangelista Spalla e Berardino Perilli, contadini di Collemoresco, Pasquale Angeletti, contadino di Patarico, Camillo Rendina e Filippo Micozzi, contadini di Grisciano, furono arrestati dai soldati piemontesi e della Guardia Nazionale con l'accusa di: “Corrispondenza con bande armate. Discorsi pubblici per eccitare lo sprezzo e il malcontento per il re Vittorio Emanuele e le istituzioni costituzionali, misfatto commesso in Collemoreso nei mesi di Luglio ed Agosto 1861” .

Ancora, il benestante filo-borbonico Luigi Organtini di Accumoli, la sera dell'8 gennaio 1862 sobillò la popolazione ad assalire la caserma della Guardia Nazionale. Dopo la sommossa, che causò diversi feriti tra i contadini ed i soldati, il benestante venne arrestato con l'accusa di: “Discorso pubblico di natura da eccitare lo sprezzo ed il malcontento contro la Sacra Persona del Re e le istituzioni costituzionali. Resistenza con violenza e vie di fatto contro la Forza Pubblica. Minaccia e ferita contro un Ufficiale dell'Ordine Pubblico, incaricato nell'esercizio delle sue funzioni, commesso in Accumoli l'8 gennaio 1862”.

 

Tratto da “REAZIONE E BRIGANTAGGIO NELLA SABINA, NEL CIRCONDARIO DI CITTADUCALE E NELL'AQUILANO (1860-1870)

Di Fulvio D'Amore

 

 

 

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